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La “Bealera del diavolo” da Frabosa a Vicoforte

La “bealera del diavolo” è un sentiero storico che collega Corsaglia e Bossea, attraverso Montaldo di M.vì, fino a Vicoforte. Il suo nome deriva da una leggenda locale, secondo cui il diavolo in persona, invidioso della magnificenza del Santuario di Vicoforte, aveva proposto al rettore un patto: se lui fosse riuscito a portare l’acqua del Corsaglia fino a Vicoforte, avrebbe avuto il permesso di distruggerlo. Il rettore accettò ma a una condizione: il patto sarebbe stato valido solo se il diavolo fosse riuscito a portare l’acqua in una notte soltanto. Il diavolo scavò per tutta la notte, ma quando spuntò l’alba il lavoro non era stato finito e quindi dovette rinunciare al suo intento.

Leggende a parte, il percorso della “bealera del diavolo” è un sentiero molto suggestivo, che attraversa il paesaggio dell’Alta val Corsaglia. «La bealera del diavolo è un’opera iniziata intorno al 1600, avrebbe dovuto portare l’acqua del Corsaglia fino al Santuario di Vico. Il sentiero attuale corre per 18 km sul sedime di quest’antica opera – spiega Paolo Fechino –. Il tratto è stato bonificato con un intervento richiesto dal Comune di Frabosa Soprana alla Regione Piemonte, grazie all’intervento degli operatori forestali della squadra 107. Sono stati ricostruiti tratti franati e il sentiero è stato ripulito. Il tratturo è punteggiato da piloncini votivi alcuni con pitture pregevoli, quasi tutti con l’immagine della Madonna di Vico (nella foto), perché era là che conduceva, e su di un tratto ove la roccia costeggia la via è stato scolpito l’anno di costruzione della Bealera». Per completare l’opera resta il tratto dalla Torre Sibilla al Pilone del Morra a Montaldo. Questo antico tracciato è solo un esempio delle risorse che potrebbero essere proficuamente restaurate, a vantaggio di turisti e escursionisti, a piedi o sulle due ruote.

Origini della Bealera


Nei testi di storia locale si trovano scarsissimi cenni all’opera. A parte le indicazioni generali sulle “bealerie” degli Statuti di Mondovì (7) e la certa documentazione degli Statuti (8) della Bealera di Niella Tanaro (che attinge al Corsaglia) citata anche in un documento del 12 maggio 1298 da L. Lobera “Dissertazione” (9) pag. 94 “Bealeria, quae incipit prope infermeriam pontis Villae Turris”. Il primo cenno della Bealera di Corsaglia si trova nella “Dissertazione” di Luca Lobera op. cit. (9) pag. 114 ove trattando dei Sindaci di Vico cita un Ordinato del Comune di Mondovì del 24 giugno 1598: Messer Tommaso Mollea Sindico propone al Consiglio questo Sindico a’ 27 luglio che “siccome la Bealeria di Corsaglia più anni sono principiata viene già fino a Vico…”. Altro richiamo sui canali, ma abbastanza generico ed un poco confuso, lo troviamo nella “Storia di Mondovì” di A. Michelotti ed, Mondino Mondovì 1920 pag. 92. Qui il prof. Michelotti mescola l’acqua del Corsaglia con l’acqua del Ricaudano (9bis), rio che dalle Acque del Santuario con la sorgente del Gavi confluisce in Ermena. Cita la “bealera del diavolo” in quanto “disegno da supposti avanzi di acquedotto romano”. Altra annotazione del prof. Rinaldo Comba in “Canali in Provincia di Cuneo” “Biblioteca” n 29 SSSAA di Cuneo 1991 in cui ipotizza la costruzione della Bealera del Diavolo da parte dei saraceni (quei diavoli di saraceni!!!). Mancando documenti certi dell’opera posso solamente formulare delle ipotesi seguendo un ordine cronologico. Prima ipotesi: opera dei romani costruita dal 1° sec. d.c. fino al 4°-sec. d.c. E’ un’ipotesi suggestiva che trova una discreta conferma nella conquista e colonizzazione dei nostri territori da parte dei romani (L. Lobera Dissertazione op. cit. pag.1-12) che sconfiggono le tribù dei Liguri e le famiglie romane fondano le città di Alba Pompeia (Alba), Augusta Bagennorum (Benevagienna), Pedona, (Borgo San Dalmazzo), Bredulum (Breolungi) e Vicus (Vico) appena un villaggio romano colonizzato dalla Tribù Camilia. Vico è infatti documentato come l’insediamento più antico della nostra regione ma resta poco più che un villaggio. Anche se storicamente i romani erano degli abilissimi costruttori di acquedotti, il villaggio non aveva le terme e non necessitava di grandi quantità d’acqua. Erano sufficenti le fonti e le sorgenti numerose sparse sul territorio vicese: la fontana del Fò, della Candia, del Gavi, del Ricaudano e le sorgenti dell’Ermena e tutte le sorgenti che mediamente sorgono al livello di 450-550 mslm e le risorse dei pozzi della regione che attingono alle falde freatiche superficiali in profondità di 10-20 mt. Seguono secoli di decadenza dell’impero romano e invasioni di “barbari” fino ad arrivare all’inizio del nono secolo dove nei nostri territori cominciarono le scorrerie dei saraceni. Questi invasori nelle nostre terre non ebbero insediamenti stabili, ma sono storicamente visti come predatori e saccheggiatori e ricordati nella memoria delle genti come “mori” e “diavoli”. Lo testimoniano i toponomi delle nostre zone: passo del Baban in val Pesio, monte Moro, rappresentazioni di folclore: il Bal do Sabre a Bagnasco in Val Tanaro e fino a qualche decennio fa anche a Vicoforte, la Baìo a Sampeire in Val Varaita, il Moro la maschera del carnevale di Mondovì e vari manufatti, ponte del Diavolo, pilone dl Diavolo e a Vico la Bealera del Diavolo. E’ vero che i saraceni provenienti da zone aride erano dei sapienti gestori delle acque, ma nei nostri territori non avevano costruito insediamenti stabili e sul finire del secolo nono dopo appena un ottantina di anni di permanenza e scorrerie furono sconfitti e scacciati con la battaglia di Frassineto del 973-73 o 983 da forze liguri e provenzali capeggiate da Arduino il Glabro con il sostegno di Papa Giovanni XIII e
l’Imperatore Ottone I di Sassonia.(10) Resta da esaminare il medioevo che per le nostre zone a partire dal X sec. ha significato una ripresa di controllo da parte di organi costituiti: la Chiesa (il Vescovo di Asti) e gli imperatori del
Sacro Romano impero. In questi primi secoli del medioevo i nostri territori si ripopolano e si strutturano come liberi comuni le principali città della provincia : Cuneo, Savigliano, Alba, Monte di Vico ( Montis Regalis, Monte delle Regalie(10 bis) concesse dall’Imperatore). Proprio in questo contesto in cui gli abitanti di Vico concorsero in modo determinante alla fondazione (1198) della nuova comunità del Monte Regale che si comincia ad avere notizie e documenti storici certi della situazione del territorio di Vico (11). Fra tutti i documenti del periodo mi piace ricordarne due : un documento imperiale del 1041 dove per la prima volta compare la pieve di Vico ed un documento
del vescovo Landolfo di Asti del 1118 dove concede ai Vicesi, su loro richiesta ma con tasse e rendite sicure per se stesso, un bosco (12) ai confini fra i torrenti Corsaglia ed Ermena che partendo dalla via della chiesa di Santo Stefano arriva fino agli attuali Gandolfi per poi risalire ai confini del territorio di Vasco dalla cappella di Sant’Eligio (San Lis) lungo il rio Regnifone. Questo bosco si chiamerà quindi Bosco di Santo Stefano e per rimarcare l’autorità del vescovo di Asti intorno alla chiesa preesistente, alla metà del XI sec. sarà edificato un priorato benedettino dipendente dal ricco e influente monastero di San Bartolomeo d’Azzano nei dintorni di Asti (13). Il priorato benedettino fu attivo per oltre tre secoli per poi passare decaduto e privo di frati nel 1471 al capitolo dei Canonici Monregalesi. Il monastero del Bosco di Santo Stefano ora da molti anni trasformato in cascina, è edificato in cima alla collina a sud est di Vico in un ambiente privo di sorgenti e di risorse idriche. Ritengo plausibile che proprio l’insediamento dei frati benedettini abili e tenaci dissodatori di foreste e di risanamenti agrari e la comunitaria gestione del bosco di Santo Stefano da parte dei
vicesi mediante lotti sorteggiati (sortie)* abbia evidenziato la carenza idrica dei terreni messi a nuove colture e ed avviato nel XII secolo il progetto dell’adduzione delle acque del Corsaglia. Venne allora realizzata un opera idraulica molto ardita ed incredibile, quasi un lavoro diabolico e da qui il nome di Bealera del Diavolo. Con l’abbandono del priorato di Santo Stefano dei frati benedettini il monastero passato alla chiesa monregalese perse quello spirito propulsivo per la natura legato alla regola di San Benedetto ed iniziò un lento decadimento. Intanto gli sforzi e le
risorse delle genti del posto erano dirottati fin dalla fine del 1500 alla costruzione del Santuario di Vico , ma la definitiva fine della Bealera credo si possa datare alla fine del 1600 con la terribile e criminale repressione dei Savoia per la seconda guerra del sale del 1699. (14) Le valli Maudagna, Ellero, Corsaglia e Roburent furono messe a ferro e fuoco dalle truppe di Vittorio Amedeo II, furono impiccati centinaia di persone accusate di essere contrabbandieri del sale, bruciate le case con i solai in legno, demolite quelle con volte in muratura con il divieto di ricostruirle, furono
deportati tremila prigionieri nelle risaie del Vercellese e tagliati tutti gli alberi di castagno che era l’albero del pane con l’obbligo di tagliare negli anni successivi tutti i polloni dei ceppi per rendere deserte e desolate le nostre vallate. E’ in questo miserevole contesto che penso abbia cessato la sua funzione la Bealera del Diavolo, ora archeo-vestigia dei tempi andati trasformata a tratti in strada forestale e sentiero che con il suo percorso frastagliato come un pizzo fra i castagneti della val Corsaglia mantiene il suo fascino intrigante e suggestivo. Mi auguro che le amministrazioni dei
Comuni di Vicoforte, Montaldo e Frabosa Soprana, sui cui territori scorreva la Bealera, si facciano promotori di un ripristino completo del tracciato per valorizzare le bellezze della valle con un sentiero naturalistico attrezzato che segua il percorso della storica Bealera del Diavolo che anticamente portava l’acqua del Corsaglia a Vico.

(A cura dell’arch. Gian Somà)

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